Biografia cura prof. Torresi


EDGARDO ROSSARO: Dipingere nella luce.

Appunti per un profilo biografico.

Ricerca a cura del prof. Antonio Torresi pubblicata

nel catalogo per la mostra di Bondeno (ottobre – novembre 2003)

Pittore a lungo sottovalutato dalla critica del secolo appena trascorso per il suo attaccamento alla Tradizione, boicottato dai colleghi futuristi prima e novecentisti poi, Edgardo Rossaro ha solo da qualche anno recuperato e riconquistato un suo ruolo nel panorama artistico nazionale. A favorirne la riscoperta ha contribuito la mostra curata da Lucio Scardino nel 1988 proprio per l’Amministrazione Comunale di Bondeno, in una provincia, quella di Ferrara, a cui l’artista era legato da vari rapporti di amicizia e di committenze.

In seguito Rossaro è stato inserito in mostre sulla pittura piemontese e in repertori sull’arte ligure, mentre il suo unico libro (dedicato alla prima guerra mondiale) è stato ripubblicato da un importante editore come Mursia nel 1999.

A quel primo lavoro bondenese di ricognizione storico-critica segue oggi un approfondimento, anche in sede documentaria, con nuovi apporti, soprattutto sulla vena di paesaggista.

Singolare è comunque l’angolazione dalla quale parte questa nuova fase di rivisitazione, legata all’importantissimo soggiorno fiorentino dell’artista. Sì, perché la formazione artistica del pittore vercellese si completò nella città medicea, la quale proprio in virtù del suo attaccamento alla grande tradizione figurativa del Quattro-Cinquecento, seppe mantenere alto il gusto per la pittura tradizionalmente intesa e di conseguenza apprezzare e far lievitare l’operato di quegli artisti che ad essa si ispiravano.

Mancandoci, purtroppo, elementi documentari importanti del pittore, quali lettere giovanili o appunti autobiografici, mi baserò, per integrare la nota biografica che segue, su alcune recensioni apparse soprattutto su periodici fiorentini, a mostre alle quali Rossaro aveva partecipato.

Importanti poi sono risultate notizie e testimonianze fornite da Goffredo Scotti, nipote ed erede dell’artista, Mary de Rachewitz, figlia di Ezra Pound, Paola Pallottino, direttrice del Museo dell’Illustrazione di Ferrara, Cinzia Lacchia, conservatore del Museo Borgogna di Vercelli, Mario Gallotta del “Gruppo Alpini di Ferrara”.

Nel nome della Tradizione si muove l’estro creativo di Edgardo, propenso più ad interpretare i segni del reale che a reinventarlo nel nome dell’astrazione o della sintesi formale. Schiavo amoroso della Realtà, di essa egli cercò di catturare la luce, quella luminosità che dà vita alla pittura, oltre che agli esseri umani. Ma, per uno strano gioco dell’arte, anche l’osservazione e la resa del dato naturale in pittura diventa artificio, in cui il mestiere del pittore finisce per prendere il sopravvento sulla realtà stessa.

E così, quella di Rossaro è più una luce dello spirito, della sua anima che aspira alla luminosità suprema della vita stessa che non quella che gli scienziati hanno tentato di imbrigliare in formule analogiche di valore scientifico; e qui nasce spontaneo il confronto con i principi della pittura macchiaiola prima e divisionista poi. Ma Rossaro sembra superarli entrambi, nella sua foga di impadronirsi di una sua tecnica personale, legata soprattutto all’encausto, anziché adagiarsi sulle conquiste dell’uno o dell’altro movimento artistico. Perché quelli del Nostro non sono dipinti né macchiaioli né divisionisti. Sono assimilabili piuttosto, per impostazione e sintonia di gusto, a certa pittura toscana degli anni Venti e Trenta, nella quale la lezione dei grandi Macchiaioli (Markò, Fattori, Lega, Cecioni, Abbati) si riveste di nuovi panni e di colori con tavolozza di moderna produzione, ed elegge a novelli punti di riferimento, maestri quali Nomellini, Chini, Ghiglia, Lloyd, i Gioli, i Tommasi, seppure accusati talvolta di essere pittori passatisti.

Come loro, Edgardo era attratto dal magico e irraggiungibile percuoter leonardesco della luce su oggetti e figure, che dall’aria luminescente sono circondati. Nelle lettere inviate all’amico-committente Ferdinando Grandi di Bondeno nel Ventennio compaiono poi apprezzamenti per anziani artisti “simbolisti” quali De Carolis, Tito, Sartorio, mentre si polemizza costantemente contro i Novecentisti (compresi De Chirico e De Pisis), Carrà è definito “famigerato”, Milano “una filibusta”, la Sarfatti è giudicata ostile, Funi e Tosi assai criticati.

Solitario e polemico, l’artista piemontese continua a dipingere paesaggi, non solo ferraresi, immersi in una poeticissima luce.

Gli esempi in tal senso non mancano mai nella vasta produzione del nostro pittore profondamente innamorato della luce, ma mentre per un altro grande artista che dei fenomeni luminosi era stato maestro oltre che teorico, Gaetano Previati, in cui l’accuratezza del disegno sembra cedere il passo all’impasto del colore sulla tela, per Rossaro i due elementi camminano appaiati.

Disegno e colore in definitiva hanno bisogno l’uno dell’altro: e ciò si evidenzia soprattutto nei ritratti, veridici testimoni di questo connubio tra cuore e sentimento, tra forma e colore, tra l’essere e l’apparire.

L’artificio pittorico di Rossaro è quindi il risultato di una profonda meditazione sul dato naturale, soffusa di quella lieve malinconia insita nel suo carattere, come aveva rilevato Gino Massaro, anch’egli scrittore-alpino, in un articolo apparso su “Pagine d’arte” del 1921, con rigore quasi da psicoterapeuta.

Egli sottolineava l’amore del Nostro per l’arte quattrocentesca, pre-raffaellita; lo definisce un giovane battagliero, un pittore e filosofo che girovaga per l’Italia senza seguire una scuola precisa, ma attento indagatore di anime. L’innato senso decorativo che lo padroneggia si evidenzia nei ritratti; tramite la tenacia del lavoro e attraverso un logorante lavorio di ripetizione e di affinamento egli ha conquistato una propria “formula” pittorica. Ama le mezze luci dell’imbrunire, quando la malinconia è profonda: quest’ultima pervade i suoi giardini, in cui spiccano alti cipressi nereggianti, ma altresì i notturni, con i violenti contrasti tra ombre e luci.

La montagna (del Cadore, soprattutto) costituisce per l’Autore il poema immenso per natura, è l’inarrivabile tesoro che non potrà essere discoperto né posseduto per intero da nessuno: “chiudere un monte in un quadro è lodare l’arcobaleno in un pezzo di vetro”, scriveva Massaro.

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Edgardo Rossaro nacque a Vercelli il 6 marzo 1882; figlio del pittore Ferdinando e di Luisa Miglio.

Ricevette dal padre le prime nozioni, così come avverrà alla sorella Irma, pittrice e miniaturista, al fratello Adolfo (morto di tifo a soli 18 anni) e poi al pittore Umberto Ravello, futuro marito dell’altra sorella, Olga, insegnante di storia dell’arte.

Importante collaborazione con il padre fu costituita dalla Deposizione affrescata nella tomba Caresana del cimitero di Biliemme a Vercelli e ricavata da un disegno del 1889: giovinetto, aiutò il genitore “in qualità di manovale”, come ricorda Olga.

Edgardo studiò quindi all’Istituto d’arte di Vercelli quale allievo di Pietro Narducci, perfezionandosi per brevi periodi all’Accademia Albertina di Torino (con Pier Agostino Gilardi) e presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia (sotto la guida di Luigi Nono).

Nel 1903 s’iscrisse alla Scuola del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove risulta allievo fino al 1911. Fu uno dei numerosissimi alunni del grande Giovanni Fattori: dal grande maestro macchiaiolo apprese i segreti di quella pittura “dal vero”, ma poi elaborata all’interno degli ateliers.

Frequentò nel contempo il vivace mondo dell’associazionismo culturale fiorentino, a cominciare da quel “Circolo degli Artisti” di via Pucci, presieduto da Fabio Fabbi: risulta infatti tra gli espositori della collettiva approntata nel 1906. Lo stesso anno aderì ad uan collettiva promossa dall’Associazione “Amatori e Cultori” di Roma: vi presentò un trittico a pastello, dal titolo di reminiscenza dantesca, A cose grandi amor la mente muove. La stessa opera ripropose nel 1908, ad una collettiva allestita dall’”Associazione Artisti Italiani” nella sede fiorentina di via Bardi.

Nel capoluogo mediceo aveva esposto nel 1907, alla rassegna della Società di Belle Arti, ritratti del senatore Annaratone, della signorina Amelia Anzà, di un giovane artista, nonché un suggestivo Autoritratto.

In quegli anni egli voleva soprattutto farsi conoscere e apprezzare a Firenze, città in cui risiedeva in modo stabile, anche se ufficialmente vi si trasferì solo il 25 dicembre 1915 (almeno secondo i documenti dell’Anagrafe storica), proveniente da Vercelli.

Rossaro si legò in modo assiduo alla “Società delle Belle Arti”, che nella propria sede di via della Colonna organizzava importanti rassegne collettive: del sodalizio fiorentino egli venne quindi nominato segretario, frequentandovi artisti del calibro di Chini, Costetti, De Carolis, Ghiglia, Viani, Nomellini, Michelacci, Chiostri, Conti, Ciampi, Cipriani e lo sculture Decimo Passani (che lo ritrasse in una scultura in terracotta).

Grazie a questa attività organizzativa egli entrò in contatto con altre significative associazioni promotrici di Belle Arti: dalla Società “Benvenuto Tisi” di Ferrara, alle cui collettive approntate presso il Palazzo dei Diamanti fu presente nelle edizioni del 1911, 1912, 1913 al vivace milieu culturale di Milano. E così alla Permanente meneghina del 1913 esporrà Riflessi (grande dipinto presentato anche alle collettive di Firenze e di Ferrara), mentre nel 1914 alla grande esposizione autunnale allestita nel capoluogo lombardo egli sarà rappresentato dal trittico Impressioni di Carnevale, oltre che da un paio di disegni.

Ma espose anche alle avanguardistiche mostre veneziane di Ca’ Pesaro, coordinate dal ferrarese Nino Barbantini (precisamente, all’edizione dell’estate 1913) e a quella della Promotrice napoletana del 1912.

Nel 1914 presentò poi il dipinto Danza Andalusa (oggi a Bondeno, nella collezione Grandi) all’importante mostra della Secessione a Roma: Arturo Lancellotti scrisse che l’opera, “oltre ad ottenere un grande movimento di linee, raggiunge una bella armonia di toni verdi, rossi e bleu cupo”.

Rossaro fu presente altresì alle collettive della Promotrice di Torino nel 1911. 1912, 1913.

Edgardo si manteneva come insegnante di disegno, ma nel contempo illustrò dei libri: ad esempio “Nella vita. Piccole prose per ragazzi” di Ersilia Galardi, pubblicato a Firenze da Bemporad nel 1909 e “Notti cadorine” di Aldo Palatini, stampato lo stesso anno a Padova da Drücker.

Rossaro otteneva inoltre un buon successo di vendite quale pittore, anche se nel 1914 al fiorentino “Premio Ussi” venne sconfitto da Plinio Nomellini e Pietro Fragiacomo.

Comunque, nominato Elettore per la Giunta Superiore di Belle Arti quale residente nella provincia di Firenze, ebbe la soddisfazione di esser invitato dalla locale Accademia a far parte del drappello “mediceo” alle mostre internazionali del tempo, dall’Expo di Barcellona del 1907 alla rassegna di Monaco di Baviera del 1913 (qui presentò Giovane signora, Tramonto d’inverno in Cadore, Nevaio sulle Dolomiti).

Infatti, aveva iniziato a soggiornare nelle montagne venete, legandosi di grande amicizia con l’ingegnere cadorino Giuseppe Palatini: fu lui che lo convinse a partire per la guerra nel maggio 1915, arruolandosi quale volontario nel reparto “Alpini del Cadore”.

Del periodo bellico lasciò una straordinaria testimonianza in vari disegni e dipinti, fra cui Ponte Stombi del 1917 (presso l’“Associazione Nazionale Combattenti e Reduci”, sede Ferrara), scena ambientata in un alloggiamento militare e discutibilmente interpretata da Marighelli come “La spidocchiatura”. Collaborò inoltre, quale illustratore, al celebre giornale “L’Astico”, diretto da Piero Jahier: del 1916 è poi la sua cartolina “Volontari Alpini del Cadore”.

Rossaro in quegli anni risulta aver illustrato inoltre le testate “Varietas” (Milano, 1918) e “Il giornalino della domenica” (Firenze, 1919).

Smobilitato dopo la vittoria del 4 novembre, Rossaro rientrò a Firenze, dove riprese l’attività espositiva: ad esempio nel maggio-giugno 1919 partecipò alla Mostra Primaverile allestita a Palazzo Antinori.

Ma allo stesso periodo è databile il primo soggiorno a Bondeno, dove risiedeva Ferdinando Grandi, industriale che aveva sposato Maria Palatini, sorella di Giuseppe.

Da allora – e sino al 1943 – per tutte le estati (ma anche a Natale), Edgardo passò lunghi periodi nella villa dell’amico, proprietario di una celebre fornace ed appassionato collezionista d’arte.

Grazie a lui conobbe vari esponenti della colta borghesia di Bondeno e di Ferrara (Bottoni, Pinca, Testa, Forti, Zanardi), ma altresì lo scultore Arrigo Minerbi, che ritrasse in più occasioni, anche in caricature.

Un dipinto che lo raffigura venne esposto da Rossaro nella Mostra individuale allestita a Ferrara nel 1923 presso la Galleria d’Arte Moderna, nell’ambito delle rassegne organizzate dalla “Società Benvenuto Tisi da garofano”, comprendente ben 70 opere, fra cui una rara litografia.

Nel presentarlo in catalogo, Donato Zaccarini sottolineò l’importanza del soggiorno fiorentino dell’artista, grazie al quale “davanti ai meravigliosi tesori dell’arte toscana, egli plasmò definitivamente la sua anima di pittore, già presa dal fascino malioso dei veneziani”.

In occasione della 1^ Esposizione d’arte Ferrarese del 1920 (Ferrara, Palazzo Arcivescovile), Alberto Neppi, a proposito del Nostro (che vi presentò 28 opere), invece aveva scritto: “artista autentico, profondamente colto, studioso della nostra più pura tradizione, quantunque un po’ risecchito delle durezze bokliniane. In lui la qualità del disegno, della forma, della composizione prevalgono su quelle dell’impianto coloristico, che è sempre tuttavia, aristocratico e ben intonato”.

In questo periodo dà lezioni private di pittura ad una ragazza ferrarese destinata a diventare famosa: Mimì Buzzacchi Quilici.

Nel 1922 ottenne consensi con la personale nella Sala P nella mostra degli Artisti Vercellesi, presentando ben 74 opere, a partire dell’Auotoritratto del 1906: in quell’occasione il Museo “Borgogna” decise di acquistare la sua opera Nevaio sulle Dolomiti. La pinacoteca vercellese possiede inoltre due suoi piccoli paesaggi del 1903, un suo ritratto femminile del 1909, il ritratto di Donna Giulia Sernagiotto di Casavecchia (1943).

Lo stesso anno presentò all’importantissima “Primavera Fiorentina” uno dei suoi capolavori: la tempera a smalto intitolata Volti a Anime nella casa di Arrigo Minerbi, poi riproposto a Ferrara.

Il 21 dicembre 1922 Edgardo Rossaro sposò a Firenze Giulia Francini Bruni, maestra elementare più vecchia di lui sette anni.

E sarà un’altra significativa rassegna fiorentina del 1925 a fornire lo spunto per un articolo elogiativo di Edgardo, firmato dal cognato Alessandro Francini Bruni e pubblicato sull’ “Illustrazione Toscana e dell’Etruria”.

Vi si rivendica l’indifferenza del vercellese nei confronti della pittura d’avanguardia (parola che all’epoca invero poco s’usava) o di una cosiddetta “moda esotica”, il suo “ripiegare” su modelli consolidati (ovvero “parlare in italiano la lingua di Giotto, di Raffaello e del Bronzino che è la lingua di Dante”) e si rammenta la “Prima Mostra dei Moderni Maestri italiani” a Zurigo, antecedente la Prima Guerra mondiale, alla quale egli fu invitato ad esporre accanto a Previati, Castrati, Focardi e ad altri capiscuola.

I coniugi Rossaro, forse dietro sollecitazione dell’amico Arrigo Minerbi, che lì operava, decisero nel frattempo di stabilirsi a Milano, abbandonando Firenze. Nello stesso 1925, all’Esposizione d’arte ferrarese- emiliana, tenutasi nelle sale del Castello Estense, Rossaro espose fra l’altro il Ritratto di donna Amina Casati, “insolita sinfonia di giallo e nero ebano su fondo verde oro, senza un tocco di rosa, senza un sorriso di giglio, perché sappiate che questa donna è negra, e invece di capelli ha il tosone fitto e ricciuto delle figlie di Cam!”.

Ma l’abilità di ritrattista di Edgardo venne posta in discussione nel 1928 in occasione dell’ennesima mostra ferrarese: dell’Autoritratto Galassi scrisse: “l’artificio fa capolino dietro la finestra dell’arte (…) gli schemi volumetrici del Rossaro non riescono a conseguire, nell’insieme, un valore universale”.

Il tono della recensione è ben diverso da una cronaca dell’anno precedente, relativo alla Mostra dei Combattenti allestita a Milano nel Palazzo delle Esposizioni, visitata dal principe Umberto e dal duca d’Aosta, nella quale Rossaro venne definito uno dei trionfatori, mostrando “una originale personalità ed una franchezza ed indipendenza non comuni (…) Pare che egli conosca a fondo la psicologia delle persone che ritrae, e di cui riesce a fermarne nelle tele le linee fondamentali del carattere”. Lo stesso anno tenne una personale, sempre a Milano, nella Galleria del Corso.

Del 1927 è anche l’affresco per la tomba Grandi nel Cimitero di Bondeno, nel quale egli riprese La Deposizione di Cristo eseguita dal padre e al quale aveva collaborato in età adolescenziale.

Al di là dei pareri discordanti, l’attività espositiva di Edgardo continuò con intensità negli anni a venire: nel 1929, alla “Mostra d’arte alla Fiera Nazionale del Lavoro” di Napoli fu presente con il dipinto Meditazione.

Lo stesso anno lo troviamo fra gli illustratori del giornale “L’Artiere” di Firenze, mentre nel 1935 risulta fra i collaboratori della celebre testata milanese “L’Illustrazione italiana”.

Nel 1930 figurò tra gli espositori della “Mostra d’Arte Vercellese e Valsesiana”, tenuta a Vercelli: vi presentò due ritratti e due paesaggi.

Nel marzo-aprile 1930 presso “La Camera degli Artisti” a Roma, in Piazza di Spagna, Alberto Neppi gli introdusse in catalogo una mostra personale, comprendente 64 opere: nel testo lo definì “un Alceo Dossena del pennello” per le capacità mimetiche, lo confrontò a De Maria, evocò Holbein per un suo Autoritratto, e ricordò i suoi frequenti soggiorni bondenesi (“nel 1919 riparò nella campestre borgata di Bondeno sul Panaro, accolto da un commilitone…”).

A Milano, nello stesso periodo, restaurò una decorazione quattrocentesca in Casa Ucelli, posta in via Cappuccio.

All’Esposizione Sociale Ambrosiana di Milano nel 1932 Edgardo presentò il Ritratto del prof. Sernagiotto, del quale il recensore della rivista “L’Artista Moderno”, Augusto Paci-Perini, sottolineò: “mirabilmente ambientato tra storte e lambicchi, con una sensibilità del vetro che nulla toglie alla sensibilità umana”.

Tra i suoi clienti, figura l’onorevole Roberto Farinacci, che gli acquistò L’onda e due marine dipinte a Fano.

Nel frattempo l’artista aveva deciso di stabilirsi definitivamente in Liguria, a Rapallo, forse ancora una volta su consiglio di Minerbi, che vi risiedeva nella villa “Aretusa” (ed anche a causa dei continui scontri, non solo verbali, con i pittori novecentisti di Milano).

A Rapallo (dove costruì la “Casa del Pittore” a Punta Seglio) frequentò altresì il grande letterato americano Ezra Pound, il quale vi abitava dal 1925: un suo quadro raffigurante la casa di S. Ambrogio sarà portato con sé dal grande poeta a Washington, negli anni tragici dell’internamento nel manicomio criminale al St. Elisabeth’s Hospital.

Rossaro fu anche assiduo frequentatore della villa dello scrittore Sem Benelli a Zoagli.

Negli anni Trenta, al seguito del nipote Goffredo (figlio della cognata, Cesarina Arancini Bruni), studente universitario a Pisa, eseguì alcune vedute della pineta di Tombolo. A Ferrara partecipò alle mostre benefiche del 1932 e del 1937. Sempre nel 1937 fu tra gli illustratori (con Novello, Angioletta, Ciotti, Minardi) di “Nuovo Fiore”, volume di Angelo Manaresi, mentre nel 1938 il pittore vercellese tenne una personale presso la “Casa d’Artisti” di Milano: in quell’occasione il Comune meneghino acquistò il dipinto Becco di mezzodì, destinandolo alla Galleria d’Arte Moderna.

Nel 1939 apparve il suo unico libro “La mia guerra gioconda”, ispirato all’esperienza della prima guerra mondiale, pubblicato dal “10° Reggimento Alpini” e del quale sono apparse tre edizioni: illustrò inoltre la rivista “L’Alpino”, sino al marzo 1941, anno in cui allestì una mostra a Bergamo.

Nel cruento periodo bellico, epoca in cui moriva la sorella Irma, Rossaro continuò a dipingere e il 27 febbraio 1944 fu tra i firmatari del famoso manifesto (assieme a Ezra Pound, Gilberto Gaburri, Giuseppe Soldato e Michele Tanzi), Gli scrittori del Tigullio salutano gli altri scrittori d’Italia…, pubblicato su “Il Popolo di Alessandria”.

Dopo la guerra mantenne rapporti epistolari con Pound, internato in America: figura infatti tra i corrispondenti del poeta nell’epistolario conservato presso la “Lilly Library” dell’Indiana University a Bloomington, nell’Indiana.

Nel 1952 sostituì nelle raccolte del Museo Borgogna di Vercelli il suo Autoritratto del 1920, alterato a causa dei colori di scarsa qualità, con un Autoritratto del 1950, dipinto ad encausto, tecnica con la quale poteva “realizzare una maggiore ariosità e maggiore luce per soli contrasti con toni freddi e caldi, evitando i banali urti di ombre e fondali bituminosi”.

Nel 1957 aderì all’Esposizione Nazionale del Sindacato Internazionale di Arte Pura a Napoli (Maschio Angioino), presentando un dipinto emblematicamente intitolato Luce e raffigurante un busto di Cristo.

Negli anni Sessanta tenne mostre personali a Rapallo, presso la Galleria Polymnia (presentata da Pound, rientrato finalmente in Italia) e nel Castello (con testo di Gabriella Bairo). A Rapallo frequentò altresì la signora Benois, imparentata con il celebre scenografo Nicola, la quale organizzava famosi “martedì letterari”.

Edgardo Rossaro morì a Rapallo il 3 maggio 1972, ormai novantenne.

Antonio P. Torresi